Il conflitto israelo-palestinese: una panoramica neutrale

 


Il conflitto israelo-palestinese: una panoramica neutrale


Il conflitto israelo-palestinese è una delle dispute geopolitiche più complesse e durature del mondo moderno. Radicato in motivazioni storiche, religiose, territoriali e politiche, coinvolge due popoli — israeliani ed ebrei da una parte, palestinesi dall'altra — con legami profondi e spesso contrastanti con la stessa terra.


Origini storiche


Le radici del conflitto risalgono alla fine del XIX secolo, con la nascita del sionismo — un movimento per la creazione di una patria ebraica — e il crescente nazionalismo arabo-palestinese in risposta alla crescente immigrazione ebraica in Palestina, allora parte dell'Impero Ottomano e successivamente sotto mandato britannico.


Nel 1947, le Nazioni Unite proposero un piano di spartizione per creare due Stati: uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale. Il piano fu accettato dal movimento sionista ma respinto dai leader arabi e palestinesi. Nel 1948, la proclamazione dello Stato di Israele portò alla prima guerra arabo-israeliana. Circa 700.000 palestinesi fuggirono o furono espulsi durante il conflitto, evento noto come Nakba ("catastrofe" in arabo).


Le guerre e l’occupazione


Nel corso dei decenni successivi, diverse guerre tra Israele e Stati arabi (1956, 1967, 1973) hanno ridisegnato la geografia della regione. In particolare, la Guerra dei Sei Giorni del 1967 portò Israele ad occupare la Cisgiordania, Gerusalemme Est, Gaza, il Golan siriano e il Sinai egiziano (quest’ultimo restituito nel 1982).


L’occupazione israeliana di territori abitati da palestinesi è ancora oggi uno dei nodi principali del conflitto. La costruzione di insediamenti israeliani nei territori occupati è considerata illegale dal diritto internazionale da gran parte della comunità internazionale, ma è sostenuta da diversi governi israeliani.


Il processo di pace e gli ostacoli


Negli anni ‘90, gli Accordi di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) rappresentarono un momento di speranza. Gli accordi prevedevano la creazione graduale di uno Stato palestinese accanto a Israele. Tuttavia, attentati, insicurezza, cambiamenti politici e reciproca sfiducia hanno ostacolato il processo.


Le divisioni interne sia tra i palestinesi (tra Fatah e Hamas) che all’interno della politica israeliana hanno complicato ulteriormente la possibilità di una soluzione negoziata. Hamas, gruppo islamista che controlla la Striscia di Gaza dal 2007, è considerato un'organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti e Unione Europea, mentre si presenta come movimento di resistenza contro l'occupazione.


Conflitti recenti


Negli ultimi anni si sono succedute diverse escalation militari, in particolare tra Israele e gruppi armati palestinesi nella Striscia di Gaza. Questi scontri hanno causato migliaia di vittime civili, tra cui donne e bambini, e hanno aggravato la crisi umanitaria a Gaza, dove la popolazione soffre per blocchi, carenze energetiche, disoccupazione e povertà diffusa.


Allo stesso tempo, la popolazione israeliana vive sotto la minaccia di razzi e attentati, e molte comunità hanno subito gravi perdite. Entrambe le parti accusano l’altra di crimini di guerra, e numerose organizzazioni internazionali hanno chiesto inchieste indipendenti.


Una soluzione ancora lontana


La soluzione a due Stati — uno israeliano e uno palestinese che coesistano pacificamente — rimane l'opzione sostenuta dalla maggior parte della comunità internazionale. Tuttavia, la mancanza di fiducia, le continue violenze, le questioni legate a Gerusalemme, ai rifugiati palestinesi e alla sicurezza israeliana rendono la pace difficile da raggiungere.


Molti osservatori sottolineano che una pace duratura richiederà compromessi dolorosi, ma anche il riconoscimento reciproco della dignità e dei diritti fondamentali di entrambi i popoli.


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