🛑 Quando lo sciopero è anche una ferita
In un’Italia che fatica a tenere in piedi il proprio sistema sanitario, anche un gesto di protesta può diventare una lama sottile. L’anestesista Propal ha aderito allo sciopero nazionale, e con lui si è fermata un’oper programmata. Non è solo una sala operatoria vuota. È una speranza sospesa.
La paziente, in attesa di un intervento cruciale, ha visto slittare il proprio appuntamento con la possibilità di guarire. E mentre il bisturi resta nel cassetto, il disagio del sistema si fa carne.
> “Non possiamo più anestetizzare il disagio del sistema” – dice chi ha scelto di fermarsi.
Ma chi resta fermo è anche chi attende. Chi lotta. Chi ha il cancro e contava su quel giorno. Lo sciopero, in questo caso, non è solo un atto politico: è una ferita aperta nel corpo di chi già combatte.
Il paradosso della cura che protesta
Il diritto alla cura non dovrebbe mai entrare in sciopero. Eppure, quando la sanità è abbandonata, anche chi cura deve gridare. Il personale sanitario non sciopera contro i pazienti, ma contro un sistema che li costringe a scegliere tra il dovere e la dignità.
In questa storia, Propal non è il nemico. È il sintomo. È il segnale che qualcosa non funziona, che il silenzio non è più sostenibile. Ma il prezzo di quel segnale, oggi, lo paga chi avrebbe dovuto essere operata.
Una ferita che chiede ascolto
Questo episodio ci costringe a guardare in faccia il paradosso: per difendere la salute pubblica, si rischia di ferire chi ne ha più bisogno. È una contraddizione che non può essere ignorata, né banalizzata.
Serve ascolto. Serve investimento. Serve una politica che non costringa i medici a scegliere tra il bisturi e il megafono.
Nel frattempo, la sala operatoria resta vuota. E la speranza, sospesa.

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